Secondo S&P, una delle maggiori (ma forse la più influente) società di rating, il PIL italiano dovrebbe aver chiuso il 2021 con un rialzo del 6,4%, mentre per il 2022 dovrebbe attestarsi al + 4,7%. Numeri fa “economia emergente”, che permetterebbero al nostro Paese di recuperare completamente il – 8,9% del 2020. Ma la società di rating mette in guardia dai molteplici rischi a cui siamo esposti, invitando a non abbassare la guardia. Rischi che in parte sono comuni un po’ a tutte le economie, mentre altri sono “tipici” del nostro Paese, una sorta di “specialità della casa”.
Tra i primi il più noto e comune è, ricordiamolo ancora una volta, l’inflazione, oramai anche da noi ai massimi (circa 4%) da molti anni. Oltre, ovviamente, ai tassi, il cui rialzo è sempre più probabile (senz’altro, comunque, si è fermato il ribasso e difficilmente rivedremo certi livelli). Rialzo confermato ieri, con l’asta dei BTP triennali che ha visto il rendimento tornare sopra lo zero (0,14%), mentre quelli a 7 anni hanno toccato lo 0,89% (da 0,60% dell’asta precedente). I rischi “tipici” sono quelli legati alla situazione politica, che rischia di sgretolarsi in vista dell’elezione del Presidente della Repubblica, e più in generale alla capacità del nostro Paese di mantenere fede agli impegni assunti nei confronti dell’Europa e dei partners europei.
Secondo S&P, peraltro, anche in caso di tensioni tra i partiti, lo spread non dovrebbe subire particolari oscillazioni, contrariamente, per esempio, a quanto prevede Barclays, secondo cui, invece, potrebbe arrivare a 150 bp, che potrebbero diventare anche 200 nel malaugurato caso di elezioni anticipate senza che Draghi abbia preso la “strada” per il Quirinale.
Ciò che maggiormente preoccupa gli osservatori è la capacità, in caso di crisi politica, di mantenere fede agli impegni assunti con il PNRR, portando a termine le riforme richieste dall’Europa, la cui realizzazione è “conditio sine qua non” per ottenere i finanziamenti (in buona parte a fondo perduto) messi a nostra disposizione. Se non soltanto portassimo a termine il lavoro avviato, ma si arrivasse a mobilitare anche gli investimenti privati, secondo S&P potremmo puntare ad un ulteriore crescita del PIL, da qui ai prossimi anni, tra i 2 e i 6 punti.
L’altro aspetto che preoccupa è il mettere a rischio l’alta fiducia di cui gode oggi il nostro Paese, forse il più alto che mai abbiamo goduto. Anche se qualche “richiamo” da parte dell’Europa sta iniziando ad arrivare. Come è successo in questi giorni relativamente alla ratifica del MES (qualcuno se lo ricorda ancora…? Sino a 2 anni fa sembrava il “male assoluto”, oggi è praticamente scomparso dai radar): l’Italia (peraltro in buona compagnia, visto che un altro Paese non ha mantenuto gli impegni: la Germania…) non ha ancora l’impegno di far approvare dal Parlamento il testo definitivo entro il 2021, cosa che la Commissione Europea ci ha fatto notare.
Come anticipato ieri mattina, Lael Brainard ha tenuto l’audizione al Congresso USA, confermando che la priorità della FED sarà la lotta all’inflazione, pronta a qualsiasi intervento. Questa volta la risposta del mercato è stata piuttosto negativa, con gli indici americani che hanno bruscamente ripiegato, chiudendo ai minimi di giornata, con il Nasdaq a – 2,57%, Dow – 0,49%, S&P – 1,4%.
Le borse asiatiche, come spesso succede, questa mattina risentono delle chiusure negative: Tokyo perde circa l’1,3%, Shanghai è vicina al – 1%, mentre ancora una volta “tiene” Hong Kong, che ferma la propria discesa ad modesto – 0,3%. In Corea del Sud da notare la decisione della Banca Centrale di alzare i tassi dello 0,25%, portandoli all’1,25%.
Futures USA in rialzo questa mattina, mentre quelli europei sembrano più contrastati (va detto che gli indici europei ieri avevano chiuso in territorio positivo, e quindi oggi potrebbe “scontare” la discesa americana, il cui calo ha accelerato dalle 18.00 in poi).
Petrolio sempre sui massimi di periodo, con il WTI a $ 82.20.
In calo il gas naturale, a $ 4,131, mentre ieri il natural gas dutch (quello europeo) ha chiuso ancora in rialzo (+ 6%), a € 79,95.
Oro a $ 1.828 per oncia, in rialzo dello 0,30%.
Spread oramai stabilmente vicino ai 140 bp, con il BTP decennale che non ne vuol sapere di scendere sotto 1,30%.
Treasury USA stabile, a 1,72%.
Nervoso l’€/$: dopo una “puntata” sopra 1,15, oggi lo ritroviamo a 1,1469.
Di nuovo venduto il bitcoin, che indietreggia del 2%, sotto i $ 43.000 (42.886).
Ps: ampio spazio oggi su tutti i quotidiani ad una nuova “saga” familiare. Per una volta non parliamo della dinastia reale inglese (la prova più dura per la Regina Elisabetta non è tenere a bada Boris Johnson ma la propria famiglia…), ma della famiglia Amadori. L’attuale presidente del gruppo, Flavio Amadori, infatti, ha licenziato per giusta causa la figlia Francesca, Responsabile della Comunicazione, limitandosi a dire che “i principi e le regole aziendali sono validi per tutti i dipendenti, senza distinzione alcuna”. La licenziata ha già annunciato che sta valutando le iniziative più opportune per tutelare la propria immagine e i propri interessi. Attendiamoci quindi l’inizio di una nuova telenovela.